Credo che tutti nascano con le ali, c’è chi le tira fuori subito e non si fa abbattere mai, chi invece per imparare ad usarle ha bisogno di un evento scatenante.
E.M.
Nel mio caso credo di averle sempre avute e in diversi episodi della mia vita mi hanno dato la forza di comprendere ciò che mi circondava.
Quando sei adolescente, tutto il mondo gira intorno ai tuoi affetti. In quel periodo della mia vita sentii il mondo crollarmi sotto i piedi quando uno dei miei più cari amici mi disse di avere dei problemi di salute. Subito non volle specificare di cosa si trattasse, così la mia fantasia cominciò a viaggiare. Iniziai ad immaginare ogni scenario possibile, pensavo fosse affetto da ogni malattia di cui avessi sentito parlare fino ad allora, scacciando il pensiero che proprio lui potesse ammalarsi di AIDS e di cancro.
Dietro mia insistenza, mi confidò di aver avuto un piccolo malore mentre guidava uno scooter e di essere andato in ospedale. Qui, dopo vari controlli, la terribile diagnosi: tumore. Il mio mondo crollò.
Purtroppo avevo già perso un membro della mia famiglia a causa di questo male orrendo. Mi sentii sprofondare. Come era possibile che quel ragazzo giovane, bello, forte come un toro, potesse morire così?
Sì, morire, perché lui mi disse che era incurabile. Ero così sconvolta che spesso sognavo di trovarmi al suo funerale e mi svegliavo gridando e piangendo. Era mio amico da molto tempo ed era il ragazzo di mia cugina, ma soprattutto all’epoca mi sembrava l’unica persona davvero in grado di capirmi, l’unico realmente interessato a me e ai miei problemi familiari.
Dopo qualche mese non notavo alcun cambiamento in lui. Era sempre lo stesso: bello, giovane e forte eppure stando a quanto sapevo, il suo male incurabile avrebbe dovuto lasciargli pochi mesi di vita.
Con il senno di poi ho capito che le mie ali cominciavano a dispiegarsi e a darmi la forza di affrontare quella situazione con coraggio. Mi accorsi che sembravo essere l’unica a preoccuparsi. Lui mi aveva chiesto il massimo riserbo e io mantenni la promessa. Inventavo sempre scuse quando qualcuno mi sorprendeva a piangere per la sua condizione.
Un giorno provai ad affrontare l’argomento con un amico comune che intuivo potesse essere, come me, al corrente della situazione.
Guardandomi mi disse: “Ecco perché nell’ultimo periodo sei sempre così triste! Ma non è assolutamente vero! Guidava uno scooter che non era il suo, è caduto e si è inventato una scusa! Ma mi sembra che ne abbia perso il controllo”.
Ero sbigottita. Senza parole. Quel ragazzo in cui avevo riposto una fiducia totale mi aveva mentito, ma non con una di quelle bugie che possono essere comprese, una di quelle senza una spiegazione, crudele.
Cominciai a pensare a quante volte avevo pianto davanti a lui, a quante volte gli avevo chiesto se ci fossero novità sulla sua condizione, o se avesse chiesto altri pareri medici. Dopo quella notizia, come sempre succede in questi casi, feci attenzione ai particolari: non avevo notato cambiamenti nel suo aspetto fisico, nel suo appetito, nel suo umore, non aveva mai preso un giorno libero al lavoro, per fare visite o altro, non c’erano quei plichi di documenti, referti, impegnative mediche che invece avrebbero dovuto fare la loro comparsa. Nulla di tutto questo.
Era tutto chiaro. Non era possibile ricevere una “condanna” del genere in mezza giornata. Nessun medico ti dice: “hai un tumore inoperabile e letale” senza prima sottoporti a un po’ di esami, che di solito richiedono tempo. Adesso mi rendevo conto che ero l’unica a cui aveva continuato a mentire. Una parte di me era contentissima di scoprire che quella notizia era falsa, che quel male orrendo non si era avvicinato ad una delle persone a cui più tenevo al mondo, ma un’altra parte di me era triste perché le mie ali mi stavano portando via, non avrei mai più potuto guardarlo in quegli occhi per tanto tempo erano stati un rifugio per me.
Sono passati ormai vent’anni da quell’episodio della mia vita e le mie ali sono sempre lì pronte a tirarmi fuori dai guai.